Il trallalero

Storia da Mauro Balma

Non è oggi molto frequente il caso di una tradizione prettamente urbana che abbia conservato una sua vitalità e si strutturi in modo autonomo. E’ questo però il caso del canto genovese a più voci noto come trallalero.

Le fonti documentate, scritte e orali, ci riportano alla metà dell’Ottocento, anche se è ragionevole supporre un’origine anteriore. Se ci chiediamo il perché di tale permanenza possiamo cercare la risposta nel modo stesso attraverso il quale il canto ha messo radici in città e in altre aree al di fuori del capoluogo ligure.

I cantori si raggruppano in squadre, che, particolarmente in passato, erano composte da elementi che avevano radici nei diversi quartieri della città e dei sobborghi; questo creava un orgoglio di appartenenza e il desiderio di primeggiare.

Primeggiare in che contesto? Quello delle gare di canto, negli anni Trenta trasformate in veri e propri “campionati”, vincendo i quali si ottenevano premi invero modesti e più che altro rappresentativi, ma altamente remunerativi sul piano, in senso lato, sociale.

La possibilità di esibirsi e di attirare pubblico era ed è legata al fatto che il trallalero regge il palco in modo egregio, configurandosi, nel popolare, come un canto “d’arte” nel quale la ricerca del prodotto “bello” è una costante, le belle voci sono quelle più ricercate, l’originalità del repertorio pure.

A questo proposito, è da sottolineare il fatto che, oltre ai canti tradizionali noti come trallaleri, le squadre assorbivano adattandoli opportunamente, quei brani del repertorio operistico, operettistico e leggero che più frequentemente circolavano nel contesto urbano. Le canzoni d’autore, in dialetto o in lingua, attiravano pubblico che aveva la possibilità di riascoltare  i successi più recenti diffusi dalla radio e le canzoni degli autori genovesi più accreditati; questo è accaduto specialmente fra la metà degli anni Venti e gli anni Sessanta ed è stato un sicuro elemento di successo e mantenimento di una tradizione che si dimostrava “vivente”.

Chi organizza la squadra e il repertorio è un “maestro”, in genere non conoscitore di musica ma dotato di buon orecchio e fantasia. Ecco un altro motivo di orgoglio: il “maestro” che fa emergere la propria squadra; lo può fare però a patto di avere a disposizione delle buone voci.

A parte il gruppo dei bassi, che costituiscono appunto un insieme, sono essenziali alla struttura del canto quattro solisti detti, non per caso, “voci” che sono: il contralto o falsetto  (o contraeto ) , il tenore  (o primmo ) , il baritono  (o controbasso) e la chitarra vocale   (a chitära ). Questo è un punto di forza (e di debolezza) del trallalero. Di forza perché ogni solista ha un suo orgoglio e vive del confronto con altri che ricoprono il suo stesso ruolo nelle diverse squadre; di debolezza perché appena manca una voce la squadra mostra crepe profonde. Comunque la presenza dei “soli” è un altro motivo di orgogliosa continuità del canto.

La popolarità delle squadre fu abilmente sfruttata tra la metà degli anni Venti e lo scoppio della Seconda Guerra dalle organizzazioni legate al regime e facenti capo all’Opera Nazionale Dopolavoro che fece ampia opera di diffusione del canto nell’entroterra e nelle Riviere, sostenendo anche il repertorio dialettale; questo fatto, ampiamente documentato, è stato sicuramente importante ai fini del mantenimento della tradizione ed è stato possibile soltanto facendo capo all’organizzazione urbana delle strutture di riferimento.

Mauro Balma

  • La storia del trallalero

  • Due contralti

    Claudio Valente e Paolo Sobrero